Credo profondamente che i luoghi abbiano un’anima e sento una struggente nostalgia per quelli della mia infanzia che adesso non ci sono più o che non sono più gli stessi, perché la patina del tempo li ha cambiati e ormai esistono solo nei miei ricordi.  

Da piccola abitavo in una casa minuscola, in cima a una vecchia scalinata che portava a loggia semicircolare e che si affacciava su un cortile spelacchiato. C’era un lungo corridoio dove facevo avanti e indietro col triciclo, pareti che scarabocchiavo con i miei pastelli e col consenso indulgente di mia madre e finestre a strapiombo a cui mi era proibito affacciarmi se non stretta tra due braccia salde.

Cominciai a chiamarla Piccola Casa quando iniziarono i lavori di quella che poi è stata la mia casa per sempre, fino a quando non me ne sono andata. La nuova casa ai miei occhi sembrava immensa e mi colpiva soprattutto perché era completamente vuota, visto che mio padre mi portava a vederla quando ancora era in costruzione e oltre alla polvere, ai calcinacci e all’odore di ruggine e malta, non c’era niente. Nemmeno una sedia per sedersi.

Mi smarrivo in quelle stanze enormi dove risonava l’eco dei miei passi, e salivo affascinata mano nella mano con lui la scala senza ringhiere che portava al piano di sopra, dove dalle finestre entravano il sole e le nuvole, così vicine che pensavo di poterle toccare.

C’è tutta la mia vita là dentro, c’è la mia infanzia che sussurra dietro le mura, ci sono i miei ricordi più cari.