Iris e l’inganno della Principessa

Iris e l’inganno della principessa è un fantasy, per cui coesistono nel romanzo personaggi reali e fantastici, come elfi, centauri, farfalle parlanti.

Siamo nel regno di Resedia, un posto bellissimo pieno di fiori e di colori. Qui vive Iris, una graziosa ragazza che ha perso entrambi i genitori, ma che può contare sull’amore incondizionato di suo nonno Elianto e sull’amicizia sincera di Nibbio, un simpatico elfo, e Bia, una splendida farfalla che ha il dono della parola. Grazie alla sua bellezza Iris vince il titolo di Reginetta di Primavera e per questo suscita la rabbia della malvagia principessa Altea che mette in atto una serie di intrighi e inganni per vendicarsi. Tutto ciò si inserisce in un contesto più ampio, difatti Altea è anche artefice di una feroce congiura nei confronti dello zio, re Giglio, sovrano di Resedia: aiutata dallo spregiudicato Primo Ministro ella si accorderà con i più acerrimi nemici del regno, i famigerati Centauri per spodestare il re e poter essere incoronata al suo posto.
Ma non tutto andrà come previsto…

Incipit

C’era una volta tanto tempo fa un regno fantastico dove ogni angolo era addolcito dalla presenza di un fiore.
C’erano fiori dappertutto, lungo i viali, nei giardini, fiori attorcigliati ai muri, appesi ai davanzali, fiori sui tavoli, tra i capelli e tra le dita, fiori cuciti sulle vesti e sui foulard, fiori che ammiccavano dietro le finestre, che bordavano le aiuole, fiori sui merli del castello reale, fiori sulle bandiere del regno. Fiori rossi, gialli, arancio, fiori indaco, terra di Siena e cremisi, fiori rosa bianchi e blu, fiori a strisce, a chiazze, ruvidi come ghiaia e lisci come velluto. Fiori dagli alti steli vezzosi o sparsi al suolo come un tappeto, fiori a crocchi civettuoli e fiori solitari, che dondolavano al vento, fiori carnosi, succulenti, o sottili come punture di spillo. Fiori che profumavano l’aria fino a stordire i passanti.
Era così grande l’amore per i fiori nel regno di Resedia che ogni strada, collina, villaggio o città aveva il nome di un fiore, perfino le persone. Quando Iris era nata suo nonno aveva guardato tra le lacrime i suoi occhi azzurro-viola che lo fissavano curiosi e aveva scelto all’istante il nome adatto a lei, Iris, come il colore dei suoi occhi. Povero vecchio Elianto, grande e grosso come un bue con quell’esserino minuscolo in braccio aveva fatto tenerezza a tutti e ogni volta che passava per strada non c’era anima viva che non si voltava a guardarlo con un sospiro. Perdere il suo unico figlio e la sua giovane sposa era stato un duro colpo per lui e se non fosse stato per la nipotina – che il cielo aveva permesso   sopravvivesse alla triste sorte occorsa ai suoi genitori – forse non sarebbe più riuscito a riprendersi. Invece dal grembo di sua madre morente era nata lei, la cosa più preziosa che Elianto avesse mai stretto tra le braccia e lui l’aveva allevata e accudita come il più raro dei fiori. In realtà, a quindici anni, Iris era davvero sbocciata come un fiore, pelle candida, mani affusolate,  capelli fulvi che le arrivavano alla vita e un portamento morbido e sinuoso. Aveva il carattere testardo di suo padre e la bellezza di sua madre, che ne faceva una delle più belle ragazze del regno.
Iris però possedeva anche il raro dono della modestia e non pareva curarsi della sua bellezza, era felice accanto al nonno, nella sua casa a Colle Fiorito, tra i suoi fiori e i larici, il cinguettio degli uccelli e il mormorio dell’erba.
Non chiedeva altro. Tempo per trovare marito ce ne sarebbe stato e poi, anche se aveva già svariati pretendenti, non ne aveva trovato ancora nessuno che le piacesse per davvero. <Quando lo troverò lo capirò all’istante> confidava alla sua amica Bia, uno splendido esemplare di farfalla zigena dalle foglie verdi e amaranto profilate di nero, che per via di un incantesimo sapeva parlare il linguaggio degli uomini.
<Non ti ci vedo proprio a spasimare per un uomo! Sono tutti così… non so…> le faceva notare Bia, scuotendo le antenne.
<So che vuoi dire, è per questo che me la prendo comoda. Se penso che molte ragazze della mia età sono già promesse spose! Ma io non voglio cambiare la mia vita, voglio restare ancora a lungo qui, con il nonno.>
Bia annuiva, con aria saggia e batteva le ali. Eh, sì, quella ragazza ne avrebbe fatta di strada!
Quell’anno la primavera arrivò in fretta, le pozze si asciugarono, il fango seccò, l’erba rispuntò vivace, gli alberi si ricoprirono di foglioline tenere e fiori in boccio e dovunque dilagò una frenesia nuova, come una ventata d’aria fresca.
Un fresco mattino di marzo Iris si svegliò nel suo letto a baldacchino e si stiracchiò. Un’occhiata alla finestra le disse che il sole era sorto da un pezzo.
<Accidenti! Come ho fatto a dormire fino ad ora? Adesso mi toccherà fare tutto in fretta se voglio arrivare in tempo!> Si buttò giù dal letto e scese di corsa la scala in legno di quercia che il nonno aveva costruito qualche anno prima, quando si era deciso che ormai Iris non poteva più dormire in camera sua. Doveva avere una stanza tutta per sé. <Te la farò in soffitta!> le aveva detto Elianto <Vedrai, sarà un incanto. Avrai un letto a baldacchino, tappeti intrecciati e tende colorate. Quando sarà finita te ne innamorerai.> Il suo entusiasmo l’aveva contagiata e durante le due settimane che erano seguite Iris aveva assistito con crescente curiosità ai preparativi. L’effetto finale era stato superiore alle sue aspettative. Una camera che pareva un bocciolo di rosa, profumata e accogliente e per di più con una vista sulla valle e sul bosco che non aveva eguali. <Mi piace! Mi piace, mi piace, mi piace! > aveva detto al nonno, tuffandosi sul letto, dove lui aveva deposto con amore una ghirlanda di fiori e bacche.

<Nonno, nonno, dove sei?>
La cucina era vuota, in mezzo al tavolo c’era un mazzo di lillà appena raccolti. Iris si affacciò alla finestra. <Nonno!> chiamò ancora, ma Elianto non rispose. Sarà andato al ruscello a prendere l’acqua per il pranzo e come al solito si sarà fermato a pescare, pensò, scrutando l’orizzonte. Poi si preparò la colazione, due fette di morbido pane bianco spalmate di marmellata di ribes nero. Ne addentò una, mentre si versava da bere latte appena munto e masticò in fretta. Non poteva permettersi di arrivare in ritardo. Quel mattino la piazza di Amaryllis avrebbe accolto tutte le ragazze del regno: tra meno di due settimane sarebbe stata celebrata la Festa della Primavera, dove tra balli, canti, corse coi sacchi e abbuffate pantagrueliche, trenta graziose fanciulle, scelte come ancelle, avrebbero attraversato la piazza con ceste ricolme di fiori mentre dietro di loro, luminosa come un raggio di sole, avrebbe sfilato la più bella di tutte, la Reginetta di Primavera. Ogni ragazza ambiva a far parte delle trenta ancelle, ma soprattutto ognuna in cuor suo sperava di diventare Reginetta. La prescelta avrebbe indossato un magnifico abito cucito con petali di fiori e recato simbolicamente in dono al re il Fiore della vita, un esemplare rarissimo di orchidea scarlatta custodito in una teca di cristallo profilata d’oro, che secondo un’antica leggenda aveva il potere di garantire la pace e la prosperità al regno. Più di una volta nel corso dei secoli si erano verificate spaventose guerre, epidemie e carestie quando il prezioso fiore era stato trafugato, finché qualche prode cavaliere non aveva provveduto a riportarlo in sede. La festa della Primavera era la sola occasione in cui il popolo poteva mirarne la bellezza, tutto il resto dell’anno il Fiore della vita si trovava rinchiuso in un luogo di massima sicurezza all’interno del palazzo reale, di cui solo il re e pochi funzionari conoscevano l’esatta ubicazione. Era un onore altissimo per la fanciulla eletta Reginetta poter sfilare – seppur circondata da un manipolo di guardie armate fino ai denti – reggendo tra le mani un bene di tale inestimabile valore.
Fino all’anno prima Iris non aveva potuto gareggiare per via della sua giovane età e si era dovuta accontentare di essere una semplice spettatrice e ammirare da lontano le fanciulle più belle del regno, che danzando distribuivano petali e sorrisi sulle dolci note di una musica celestiale. Ogni volta aveva sempre portato a casa un ricordo, petali di fiori che poi aveva raccolto in un sacchetto di lino che conservava con cura sotto il letto e che di tanto in tanto tirava fuori e annusava, con gli occhi lucidi per l’emozione. Ma adesso aveva compiuto quindici anni e forse il suo sogno si sarebbe finalmente avverato.
Appena finito di fare colazione salì di nuovo di sopra e scelse il suo abito più bello, un vestito di mussola leggera azzurro, con i volant sulla scollatura e sulle maniche che arrivavano fino al gomito e gli orli arricciati. Vaporoso e fresco come una nuvola. Poi passò all’acconciatura. Spazzolò i capelli con cura e li lucidò con dell’olio profumato, li raccolse in un nodo lento sulla nuca e li intrecciò con fiori e bacche, quindi tirò qualche ciocca ai lati del viso e si guardò allo specchio. Era splendida, dovette ammetterlo, e nel suo cuore si accese una fiammella. Posso farcela, si disse, provando ancora una volta davanti allo specchio le movenze aggraziate delle tante fortunate che in quegli anni si erano avvicendate nelle sfilate. Poi fece un bel respiro, calzò le scarpe lucidate per l’occasione e scese le scale. Prima di andare in città doveva assolutamente vedere il nonno, solo lui avrebbe potuto darle la giusta carica, ne aveva proprio bisogno. Chiuse la porta alle sue spalle e andò a cercarlo al ruscello.

Lo trovò immerso nell’acqua fino ai polpacci, intento a pescare. I pantaloni erano arrotolati sulle ginocchia e la camicia era aperta sul petto possente, percorso da uno strato di sudore che brillava come olio. Iris si fermò qualche istante a guardarlo, poi gli si avvicinò. Intorno a loro il bosco frusciava di dolce vento e gli uccelli cinguettavano e svolazzavano sui rami alti. Un martin pescatore era fermo sul ramo di un pioppo e muoveva il lungo becco a scatti, gli occhietti piccoli e neri fissi nell’acqua alla ricerca di cibo.
<Nonno! Sono pronta!> gridò Iris <Allora, come sto?> domandò con le mani sui fianchi. Elianto si voltò a guardarla e fece un fischio. <Magnifica!>
<Sono così emozionata!>
<Lo sarai ancora di più quando tornerai. Dovremo sbrigarci a chiedere a Viola di cucirti un altro vestito per la Festa di Primavera> Viola era la madrina di Iris, una donna buona e generosa che lavorava come cuoca nelle cucine del palazzo e conosceva vizi e virtù del re e di tutto il suo seguito di dignitari e cortigiani. Aveva visto Iris nascere e l’amava come una figlia.
<Oh, fosse vero, nonno! Incrocia le dita per me!>
<Puoi giurarci!>
<A più tardi, allora!> lo salutò la nipote con un inchino grazioso, poi sparì lesta nel bosco, fino alle scuderie, dove Dafne, la sua cavalla saura, era pronta ad attenderla. Con un salto saltò in groppa e la spronò al galoppo. Per strada le volò incontro Bia. <Ehi, pensavi di andare senza di me?>
Iris rallentò la corsa. <Oh, no! Mi fa tanto piacere che tu sia qui! Mai come ora sento di avere bisogno di un’amica! Sono così in ansia!>
Bia le si posò su una spalla, leggera come aria. <Non devi! Se ci tieni ad essere esclusa devi solo presentarti con quella faccia! Ma, dico? Ti si è bevuto il cervello? Animo, ragazza, animo! Devi avere fiducia in te stessa, altrimenti non avrai nemmeno una chance. Testa alta, sorriso, portamento e classe. L’abbiamo provato tante volte! E’ la tua occasione, guai a sprecarla con queste sciocche paure! >
<Per tutti i fiori! La fai facile tu! So che l’ho provato tante volte, ma adesso…>
<Adesso è il momento di far vedere a tutti chi sei! Adesso o mai più!>
Iris accarezzò le sue ali impalpabili e morbide come seta e la sentì fremere sotto le sue dita. <Hai ragione, Bia, niente incertezze. In fondo, ho tutti i numeri per essere scelta, perché non dovrebbero?>
<Giusto! E adesso andiamo, ci aspetta la gara!>